Manifesto

Altiero Spinelli al Parlamento europeo - 1984

Altiero Spinelli al Parlamento europeo – 1984

Sono passati trenta anni anni dalla caduta del muro di Berlino.

Ricordo che in quei giorni mi trovavo a Torino, dove facevo il servizio militare, e che ho dovuto combattere contro il desiderio di disertare per andare a Berlino e dare il mio contributo, una picconata, una martellata a quello che era il simbolo della divisione ideologica e politica del mio continente.

Trenta anni sono un soffio di tempo. Oggi ricordo perfettamente cosa facevo trenta anni fa, mi pare un periodo di tempo che sta in una mano. Poiché sono nato circa venti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, penso che anche i miei genitori, i miei nonni avessero una perfetta coscienza di cosa era stata la grande guerra civile europea 1914-1945. Sapevano perfettamente che sin dai primi tentativi di integrazione economica europea, l’espressione «Europa unita» ha significato soprattutto pace, la fine dei macelli periodici che decimavano la gioventù europea. E non si tratta di un’espressione detta a caso: nel corso della battaglia della Somme, dal luglio al settembre 1916, morirono un milione e 200.000 soldati in una sola settimana da entrambe le parti; quando venne attaccata dalla Germania nel 1940, la Francia non aveva abbastanza maschi in età di leva da mandare a combattere proprio a causa di quel dissanguamento feroce.

La pace ha animato la prima volontà di unirsi degli stremati paesi europei, mentre lo scenario della guerra fredda ha dato i necessari impulsi successivi.

Altiero Spinelli e l’idea della federazione europea sono stati elementi vitali e necessari all’interno di questo processo, organizzato a diretto dai governi centristi degli anni Cinquanta e proseguito poi, soprattutto sul fronte dell’integrazione economica, fino a oggi. Si trattava di dare un’anima politica a una costruzione che altrimenti sarebbe stata solo un’enorme zona di libero scambio, un’unione doganale magari con complicati meccanismi di calcolo per i movimenti delle merci, ma che non avrebbe offerto agli europei nessun senso di appartenenza comune a una costruzione superiore. Oggi, lo possiamo vedere con i nostri occhi, siamo andati ben oltre le aspettative circa l’integrazione economica esistenti alla metà degli anni Ottanta; ci stiamo muovendo verso la realizzazione della necessaria dimensione politica dell’integrazione europea ma si sente chiara una «fatica da approfondimento» che mette a rischio ciò che si è già realizzato. I motivi sono diversi: lontananza dei cittadini dalle istituzioni europee, disaffezione diffusa, ruolo ancora centrale giocato dai governi nazionali, percepiti come il referente principale della nostra vita politica e sociale. Così, paradossalmente, mentre l’Unione è ormai depositaria dei principali strumenti di controllo sulla stabilità economica e finanziaria del continente, manca nel pubblico la percezione che le istituzioni europee non sono freddi attori indifferenti, bensì possono essere orientate e influenzate dal nostro voto, a partire dalle prossime elezioni.

Il voto del prossimo 26 maggio deve essere inteso come una possibilità di proseguire l’opera di Spinelli: aumentare i poteri dell’organo rappresentativo, fare del Parlamento europeo l’istituzione centrale della costruzione europea. Un parlamento che sia in grado di avere un pieno e completo rapporto fiduciario con il governo dell’Unione, la Commissione europea; che sia in grado di esprimere, con la sua maggioranza, il nome del presidente della Commissione; che abbia funzioni legislative più ampie e determinanti delle attuali. E accanto al Parlamento, il Consiglio dei Ministri, inteso come necessaria sede di rappresentanza degli interessi degli stati membri, ma ridimensionato nei suoi poteri rispetto al Parlamento europeo. Il luogo di rappresentanza degli interessi dei cittadini europei non può avere poteri inferiori rispetto al luogo di rappresentanza degli interessi dei cittadini nazionali.

Questi sviluppi – contenuti in parte anche nel trattato di Lisbona, il cui processo di ratifica deve essere completato al più presto – sono convinto che possano essere perseguiti solo se il dibattito politico si sviluppa a livello europeo e non resta confinato al solo ambito nazionale; se le elezioni europee cessano di essere considerate un’elezione suppletiva nazionale, bensì diventano un momento fondamentale della partecipazione dei cittadini europei alla definizione delle istituzioni che incidono in maniera ormai così determinante sulla loro vita. Per far questo anche gli attuali gruppi parlamentari del PE devono orientarsi verso la trasformazione in partiti politici europei, organizzando la campagna elettorale intorno a problemi e questioni che abbiano rilevanza e dimensione europea; in questo il PD italiano ha un importante ruolo da svolgere.

Nel corso degli ultimi anni, mentre ho lavorato alla biografia di Altiero Spinelli e alla cura dei suoi scritti, mi sono sempre più convinto che la sua eredità ideale – eredità di pensiero e di azione – aveva prima di tutto bisogno di una forza politica di riferimento nella quale essere trapiantata. Il Partito democratico è l’unico soggetto politico oggi esistente in Italia che sia sensibile sia alla tradizione cosmopolita del cristianesimo sociale sia all’europeismo politico della sinistra progressista e riformista. Volendo banalizzare una storia che non dovrebbe essere banalizzata, al suo interno convivono sia la tensione ideale dell’europeismo degasperiano sia la lucida pragmaticità del federalismo di Spinelli e di Ernesto Rossi. Per questi motivi il Partito democratico rappresenta l’unica forza politica che oggi può farsi portatrice non di un europeismo retorico o declamatorio, bensì di un preciso progetto politico che si basi sul valore dell’unità politica dell’Europa e sul potenziamento della partecipazione democratica alla vita delle istituzioni.

È con questo spirito e con questo programma che intendo partecipare alla campagna elettorale per le elezioni europee; non mi sento un candidato di bandiera né un pensionato della politica da sistemare per i prossimi cinque anni, bensì una persona che si occupa di questione europee da quindici anni e che è cresciuto pensando al sogno concreto di un’Europa unita politicamente e di un Parlamento europeo espressione democratica dei cittadini europei.

Questa esperienza e questo sogno li voglio condividere con tutti gli italiani che hanno a cuore il futuro della nostra Patria Europa.

Piero Graglia