Apr

25

La massa degli ignari

All’inizio erano coreografici. Nelle loro riunioni dominavano i miti antichi, gli elmi con le corna e gli spadoni sguainati dei popoli del Nord; scorreva molta birra in quelle sagre politiche, molti si ubriacavano e cantavano canzonacce sguaiate, si proclamava l’unicità e l’eccezionalità del ceppo del nord, contrapposto alla mollezza e alla ottusità del sud dell’Europa. Gli oratori, dal palco, ripetevano insulti e sberleffi ad avversari politici, gli intellettuali della parte opposta erano ridicolizzati, quelli a favore tollerati ma tenuti a bada come portatori di uno strano virus dell’intelligenza. Ogni discorso però si scioglieva nell’osanna al capo, quando interveniva finalmente sbraitando dal palco sotto l’occhio vigile della milizia di partito posta a cordone. Leggi il seguito »

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Ott

23

Domenica 31 ottobre scatta l’ora legale: panico nel governo

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Set

24

PD: ripartire da Spinelli

Appello di militanti federalisti europei a Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico

“Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori
nei quali noi abbiamo creduto… Abbiano coscienza dei loro doveri
verso se stessi, verso la famiglia…, verso il paese,
si chiami Italia o si chiami Europa”



Giorgio Ambrosoli alla moglie Annalori

Caro Segretario,

Come militanti del Movimento federalista europeo, fondato da Altiero Spinelli, e politicamente vicini al Partito democratico, guardiamo con preoccupazione all’incertezza sempre più evidente, denunciata ormai anche dalla stampa, riguardante l’identità culturale e il radicamento storico di un partito che intende perpetuare e rilanciare i valori del patto costituzionale con cui è nata la nostra Repubblica, raccogliendo attorno a questo obiettivo il maggior numero possibile di elettori. Il Pd non sembra infatti riflettere adeguatamente – anche se recenti iniziative appaiono come primi segnali di ripresa – né sul progetto che esso intende proporre per affermare la propria leadership, né sull’eredità politico-culturale di cui dovrebbero essere portatrici le sue componenti.

Come è noto, il Pd è nato nell’ottobre 2007 quale entità nuova, e dunque mirante a introdurre un fattore di trasformazione nel quadro politico nazionale, in parte in risposta all’affermarsi della cosiddetta seconda Repubblica e in parte per completare il processo di adeguamento al venir meno delle contrapposizioni della guerra fredda, a seguito del tracollo del comunismo. Leggi il seguito »

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Ago

21

Il tempo del ricordo, il ricordo del tempo

Un mio caro amico, ieri sera, mi rimproverava blandamente perché me l’ero presa con Cossiga e con la sua figura nel momento della sua morte. Non è elegante, mi diceva, prendersela coi morti, sia perché non si possono difendere sia perché, in ogni caso, ciò che hanno compiuto è ormai stato già giudicato sul momento e ancora più verrà giudicato successivamente dagli storici. A che pro quindi continuare a ricordare i limiti di una persona e del suo operato prima che la storia abbia posto il sigillo del “vero” sulle diverse vicende?

E’ un caro amico, forse l’unico vero che ho, che conosco da tanti anni, quindi le sue osservazioni mi hanno imbarazzato perché non le potevo liquidare con un’alzata di spalle rifacendomi a vecchi slogan e a vecchi stereotipi. Ci ho dovuto pensare per rispondere; e pensare aiuta, sempre, anche se lo si fa con riferimento a cose che si sentono particolarmente.

La storia, gli ho detto, non è un tribunale, e la presunzione di innocenza in quel caso non funziona, perché tanto ormai il reo è morto, quindi il reato, se c’è stato, si è estinto con il suo autore. La storia vuole offrire alle persone una trama di memoria generale da mettere a confronto con il proprio vissuto, scendendo anche nel particolare, certo, ma senza pretendere di dare giudizi pro o contro qualcuno in maniera netta. Dal momento che il mio amico è un pubblicitario, gli ho dovuto spiegare il mio punto di vista con un esempio macroscopico. Hitler, gli ho detto, è stato oggetto di storia già mentre era ancora in vita. Storia agiografica, certamente, ma neppure tanto. Nella convinzione generale della buona borghesia tedesca non ebrea, Hitler aveva portato ordine e progresso e lavoro, aveva allontanato la rivoluzione sociale, aveva sottomesso le masse popolari al mito della patria e della razza. Aveva dato un senso alla Gleichberechtigung (la parità dei diritti) con le altre nazioni europee, riportando la Germania a un posto di prestigio. Il consenso verso di lui era reale e massiccio, tolti quelle poche migliaia di dissidenti e gli ebrei che venivano emarginati dalla società tedesca, allontanati con la forza, sovente uccisi ma non ancora con i metodi della soluzione finale. Quando nel 1935 viene fatto il plebiscito nella regione della Saar per decidere se essa doveva tornare a essere tedesca, diventare francese o restare sotto la tutela della Società delle Nazioni come era stato fino a quel momento, il 90% dell’elettorato scelse Hitler. Un elettorato in gran parte fatto di operai e minatori, in una regione particolarmente industrializzata e storicamente una delle roccaforti ‘rosse’. Un evento che dà da pensare quando si parla del ‘consenso’ al nazismo. Lo storico deve essere influenzato dal giudizio morale per ciò che ha fatto Hitler? Certamente sì, è una questione di sensibilità umana, nello stesso tempo però deve tenere conto dello scenario interno tedesco e dei sentimenti che attraversavano l’opinione pubblica dal 1933 al 1945 per rendere compiutamente il servizio alla ‘verità’.

Ecco, continuavo, con Cossiga sta succedendo lo stesso, ma in direzione esattamente opposta: si usa solo il registro della retorica di stato, della classe politica che si autocelebra, e si dimentica di ricordare l’azione che Cossiga, con il suo collega Andreotti, ha fatto sia come ministro dell’interno, sia come presidente del Consiglio e infine come presidente, per rendere oscure e ancora meno intelleggibili momenti e vicende della storia italiana. Vicende che non sono costate solo proteste, cortei, manganellate, ma morti, stragi, offese diffuse e continue al tessuto sociale e civile del Paese.

Questo io contesto della celebrazione di Cossiga: non volersi neppure per un attimo confrontare c0n ciò che Cossiga ha fatto durante il suo operato di uomo politico, stendendo il velo mieloso del ricordo dolciastro e buono in valore assoluto, come si faceva con i capi sovietici stesi nel catafalco in un tripudio di bandiere rosse e mazzolini di fiori. Gli inglesi chiamano questo atteggiamento “brownlicking”, che potrebbe essere reso con qualche approssimazione con “leccamerdismo”, e brown-licker, leccamerda, sono quelli che se ne rendono responsabili. Un’azione che non sempre è consapevole, ma che nel momento in cui diventa l’atteggiamento da tenere in generale, addormenta ogni capacità critica.

A questo giochetto non si è sottratto nessuno, neppure esponenti dei partiti che non stanno al governo (tecnicamente, l’opposizione; tale solo di nome).

Il mio amico a questo punto ha interloquito dicendomi: “allora bisogna attendere lo storico che scopra i campi di sterminio, così come per Hitler”. No, i campi di sterminio li conosciamo già, conosciamo a memoria certe espressioni e certi giri di parole per mascherare i fatti; sappiamo grazie a giudici che non hanno voluto leccare ciò che non ritenevano cioccolata, ciò che è successo a causa di alcune cricche di persone; abbiamo anche avuto coraggiosi esponenti dell’opposizione dell’epoca che hanno dato un contributo importante, un nome per tutti: Tina Anselmi. Quindi chi sceglie il conformismo o, peggio, sceglie di dire che gli scheletri nell’armadio ce l’hanno tutti e non solo la vecchia Dc, compie un’atto doppiamente odioso: prima perché porta il cervello all’ammasso, secondo perché accetta la vulgata che, di norma, precede sempre la ricostruzione storica obiettiva ma, purtroppo, talvolta la sostituisce completamente.

A quel punto gli ho fatto l’esempio dell’inchiesta di Remondino nell’agosto 1989, su P2 e Cia e sui legami destabilizzanti tra servizi americani e politica italiana. Un coraggioso servizio che costò il posto al direttore del Tg1 Nuccio Fava, sostituito in gran fretta da … Bruno Vespa (sì, lui, il maggiordomo del potere), e che provocò una levata di scudi da parte nientemeno che del presidente del Consiglio Andreotti, che in Parlamento si scaglio con veemente cattiveria contro i giornalisti che non verificavano le fonti. Gli italiani non sanno, forse non hanno mai saputo, che le fonti di Remondino non erano solo Brenneke, l’agente Cia che aveva confidato i suoi segreti, ma gli atti processuali che avevano visto Brenneke in giudizio contro la sua agenzia (il governo degli Stati Uniti) e lo aveva visto vincere: ciò che aveva detto era vero, la giuria popolare lo ripeté per ben sessanta volte.

Ma oggi quell’inchiesta, vilipesa anche dal presidente Cossiga, nessuno la ricorda più, e la vulgata sta proponendo altro. Immagini, gli ho detto, cosa succederà quando morirà Andreotti? Che monumento di grazia e saggezza gli verrà elevato?

Vedi, gli ho detto, tutti pensano che la storia sia un qualcosa che svolazza e colpisce casualmente riportando ordine nelle cose a distanza di tempo, ma non è così, ciò che si sta facendo in Italia oggi è peggio di ciò che è stato fatto dopo il fascismo (e non è detto che le due operazioni non siano in qualche modo collegate): proporre un’idea di paese talmente artificiosa e artefatta, talmente zuccherosa che scompare la memoria del singolo. Se il singolo non ritrova nella memoria condivisa i suoi ricordi, vive un’alienazione, viene spinto a modificare il suo ricordo. Questo sta succedendo, e visto che la storia non la scrivono gli angeli ma gli uomini, ed è pensabile che la storia italiana la scriveranno ancora per parecchio tempo gli italiani stessi, è bene tutelare la molteplicità dei ricordi, e non cedere alla tentazione di uniformare tutto al ricordo ufficiale, voluto da chi detiene pro tempore il potere e non vuole che sopravvivano memorie alternative. Il dovere del ricordo è la prima cosa da tutelare oggi, così come i primi socialisti, alla fine dell’Ottocento, sentivano istintivo il bisogno di racontare le loro lotte perché non venissero lasciati alla ricostruzione dei mattinali di polizia.

Per questo ho attaccato la memoria di un morto. Per questo continuerò a cercare amici che sappiano condividere con me qualcosa che sia più di una semplice birra: il ricordo dei tempi che sono andati, la nostra versione dei fatti, il tempo lungo del ricordo.

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Ago

18

Cossiga è morto. E allora? Non gli hanno mica sparato…

… A Giorgiana Masi invece sì, e anche a Pierfrancesco Lorusso. Uccisi entrambi nel 1977 da proiettili sparati forse da poliziotti. Lorusso da un carabiniere, che fu visto sparare da testimoni, ma che poi fu processato e prosciolto per l’impossibilità di ritrovare il proiettile e certificare con perizia balistica la provenienza dalla sua pistola. Giorgiana Masi si disse da poliziotti confusi tra i manifestanti. Per questi fatti, e non solo per questi, l’allora ministro dell’interno veniva raffigurato da Forattini (all’epoca ancora vignettista politicamente impegnato in grado di far ridere e sorridere) come un autonomo ‘finto’, con tanto di maglione, capelli lunghi, tascapane a tracolla e P38 in mano. Leggi il seguito »

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Apr

25

Il dialogo con Mario Pirani su università e ricerca

Lunedì scorso Mario Pirani pubblicava una sua nota su Repubblica nella sua rubrica fissa, “Linea di confine”. In essa parlava della riforma Gelmini e avanzava alcune osservazioni positive riguardo alla figura del Ricercatore a tempo determinato previsto dalla riforma (anche se non si tratta di una novità: fino a oggi lo chiamiamo assegnista di ricerca). Gli rispondevo con una mail privata facendo alcune osservazioni, ma non richiedendo la pubblicazione: in altre parole, parlavo solo a lui. Se avessi voluto fare qualcosa di pubblicabile come lettera, avrei usato toni molto più duri. Oggi scopro che la lettera, tahgliata, è stata pubblicata.

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Feb

17

E’ l’ora dei ricercatori?

Periodicamente, con un tono tra il demagogico e il finis Austriae, si parla in Italia del tema dei ricercatori universitari e della ricerca in genere. I ricercatori, quelli assunti nell’Università, sono circa 25.000, percepiscono uno stipendio che parte dai 1200 euro/mese e arriva, dopo dieci anni di anzianità, a circa 2200 euro netti al mese. Si tratta di una figura introdotta con la riforma del 1980 (dpr 382/80) che prevedeva, per loro, solo compiti di didattica integrativa (seminari) e assistenza agli studenti (tesi, esami ecc.) ma non la cosiddetta didattica principale, i corsi propriamente detti. Quella è riservata ai professori. Poi ci sono altre figure, ricercatori precari nati dopo la riforma del 1980, che sono in attesa di un concorso: assegnisti di ricerca, dottorandi e dottori di ricerca, cultori della materia. Una moltitudine di persone che hanno di fronte a loro, spesso, solo la via dell’emigrazione in qualche realtà universitaria all’estero dato che i canali di accesso in Italia sono ingolfati e macchinosi. Leggi il seguito »

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Feb

2

Israele nell’Unione europea? Facciamo il punto

Piero Graglia e Ivan Scalfarotto, 25 aprileritagliataPeriodicamente il tema dell’ingresso di Israele nell’Unione europea rispunta come un fiume carsico animando il dibattito politico e diventando tema di discussione più o meno svogliata. Bene se questo significa anche riflettere sulla natura e sui caratteri della stessa Unione europea, male se si tratta soltanto dell’utilizzo strumentale di un tema che ha un certo appeal storico-politico, senza andare al fondo dei problemi che esso solleva.

Prima di tutto va ricordato che il tema di per sé non è nuovo: esso è stato portato avanti in maniera provocatoria dal partito radicale transnazionale all’inizio degli anni Ottanta con una chiara valenza politica: l’ingresso di Eretz Israel nell’UE avrebbe occidentalizzato definitivamente Israele e coinvolto l’Europa nella necessaria soluzione del problema palistenese. Una formula semplicistica e sommaria che non tiene conto della natura stessa non solo dello stato di Israele, ma anche dell’Unione europea.

L’Unione, da Maastricht in poi, non può più essere definita semplicemente una forma di cooperazione economica e di integrazione settoriale dei mercati: essa è diventata una fonte del diritto interno con il ruolo centrale assegnato alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, le cui pronunce sono vincolanti per gli stati membri e in grado di influenzare il diritto interno nazionale. Inoltre non si dimentichi il fatto che l’Unione definisce anche diritti civili e politici e l’eventuale ingresso nell’UE di Israele, stato il cui parlamento si configura come una assemblea costituente permanente ma è privo di una costituzione scritta, comporterebbe l’accettazione da parte di Israele delle libertà (di circolazione di merci, persone, capitali e servizi) già oggi garantite a tutti gli stati dell’Unione. Dubito che tale prospettiva sarebbe allettante per Israele.

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Dic

14

Souvenir d’Italie

Silvio Berlusconi ci ha ormai abituato alle sue sparate e ai suoi più riusciti travestimenti. Una volta si diceva operaio tra gli operai, poi si è detto ferroviere tra i ferrovieri, allenatore tra gli allenatori, contadino tra i contadini, muratore tra i muratori, imprenditore tra gli imprenditori (l’unica carica non usurpata). Giorgio Saviane, indimenticato critico televisivo dell’Espresso, diceva che nelle sue televisioni faceva tutto lui, regista, fonico, tecnico luci, cameraman: se avesse avuto una puntina di tette si sarebbe messo a fare anche l’annunciatrice.

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Nov

13

Crucifige! crucifige!

In fondo vanno capiti… Si sentono perseguitati. Non hanno modo di esprimere liberamente le loro opinioni senza essere attaccati. Sono portatori di valori perennemente in pericolo e per giunta vengono considerati dei fanatici in potenza da tutti. Eh, sì: la condizione dei non credenti e degli atei – o dei ‘diversamente credenti’ non è facile. Si arriva al punto di trasformare un simbolo religioso in un simbolo di civiltà, senza considerare che è la civiltà a dare un senso, un peso e una autorevolezza alle credenze religiose, non il contrario.

Io sono d’accordo che chiunque, se vuole, può esporre un simbolo religioso dove vuole, soprattutto dal momento che ognuno di noi è tempio di Dio, secondo il Vangelo. Sono però contrario all’esposizione per forza, per obbligo, per memento preventivo: non fosse mai che qualcuno non sappia che viviamo in un Paese occidentale, figlio del Cristianesimo sì, ma anche della rivoluzione francese, dei principi del 1789, del confronto tra le grandi ideologie del Novecento che si sono configurato, e forse si configurano tutt’ora, come religioni laiche.

Chiunque quindi ha il diritto di esporre il suo simbolo, ma chiunque ha il diritto di contestarli, soprattutto se il simbolo religioso, posto all’interno di una struttura pubblica, implica un’adesione alla fede da parte delle istituzionic he devono essere, invece, neutrali.

La corte europea dei diritti dell’uomo ha semplicemente detto questo, non altro, non ha espresso un giudizio di valore sui simboli, ha detto che chiunque li può usare nel suo spazio. Ma non negli spazi di tutti.

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